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Speciale Pantani 5, il calvario: l'ombra del doping e la cocaina | VIDEO

La discesa agli Inferi di Marco Pantani tra processi, depressione e cocaina: la quinta parte dello Speciale Le di Alessandro De Giuseppe e Riccardo Festinese

Il calvario di Marco Pantani ha inizio la maledetta mattina del 5 giugno 1999, quando l’esame del sangue di Madonna di Campiglio rileva che l’ematocrito del Pirata è di 3 punti in più rispetto al limite consentito, che di 50. L’esame non evidenzia la presenza di alcuna sostanza dopante nel sangue di Marco, ma subito la Procura di Trento e la stampa lo accusano di essersi dopato.

Marco è comprensibilmente turbato da quella notizia, soprattutto perché poche ore prima e poche ore dopo quel prelievo, due differenti analisi confermavano un ematocrito di 48, quindi pienamente in regola. Il Pirata è scoraggiato: “In questo momento non penso né al Tour né alla Vuelta né altro, ma solo di fare un po’ di chiarezza dentro di me” e annuncia di volersi ritirare. Ma il richiamo del ciclismo è troppo forte e 8 mesi dopo si rimette in pista, alla Vuelta valenciana. Il pubblico è quello delle grandi occasioni e Marco è ancora amatissimo dagli appassionati del ciclismo di tutto il mondo.

Ma dopo qualche tappa alla Vuelta valenciana portata a casa con tempi di tutto rispetto, decide comunque di ritirarsi e di saltare altri numerosi impegni ciclistici. Marco ormai ha iniziato la sua drammatica parabola discendente, che lo porterà 5 anni dopo al tragico epilogo di Rimini.

Il pubblico continua a seguirlo come ai tempi del Giro d’Italia, anche se le sue prestazioni sono ormai lontane dal mito. E il 16 luglio del 2000 arriva l’ultima vittoria per Marco Pantani, a cui segue pochi giorni dopo un nuovo ritiro dalle corse.

E con la fine delle gare tornano ad inseguirlo anche i guai giudiziari, come il processo per frode sportiva per valori dell’ematocrito fuori norma risalenti al 1995, processo in cui viene condannato a tre mesi di reclusione (anche se nel suo corpo non è stata rintracciata alcuna sostanza proibita).

“È stato condannato per doping, cioè senza che esista una legge che preveda che questo reato”, dice il fisioterapista del Pirata, Fabrizio Borra. “Un’altra mazzata!” E non contribuisce certo ad alleviare l’umore di Marco il clima di tensione attorno alle gare a cui partecipa, come quando gli ispettori trovano sostanze come caffeina, anabolizzanti e cortisonici negli hotel che ospitano gli atleti durante una gara.

Che ormai il Pirata abbia questa maledetta “aura” del dopato addosso, lo testimonia il ritrovamento nel 2001 in un cestino del corridoio di un hotel di Montecatini di una siringa con tracce di insulina, proibita per regolamento. Nonostante non ci siano testimoni e non si possa procedere alla prova del dna, la siringa viene comunque attribuita a Marco Pantani. Il fantasma del doping continua a inseguirlo e a tormentarlo.

Lui cercava di tornare su ma ogni volta che ci provava arrivava qualcosa. Marco è arrivato un giorno a dirmi che era come avere la testa sott’acqua e ogni volta che la vuoi tirare su c’è qualcuno che la tira giù”, racconta ancora il suo fisioterapista.

Mentre è ancora indagato per la siringa di Montecatini, Marco viene assolto per la frode sportiva, ma ormai con la testa è lontanissimo dal mondo del ciclismo. “Non era più il mio Marco”, dice mamma Tonina, “e anche se lui non mi diceva niente ho scoperto che usava cocaina".

Quando Marco, per la terza volta, prova a rimettersi in carreggiata con risultati sportivi degni di attenzione, per la terza volta arriva l’esclusione al Tour de France, nel 2002. “Quelle esclusioni hanno peggiorato di nuovo la situazione e lui è ritornato a riprendere la strada sbagliata”, dice in un’intervista tv il padre di Marco, Paolo. "Da allora credo che non sia più riuscito a risollevarsi”.

Nell’autunno del 2003 Marco torna a rifugiarsi nella cocaina e si lascia anche con la fidanzata storica Christine, iniziando a frequentare persone e situazioni poco raccomandabili. Un amico medico prova ad aiutarlo e lo convince a farsi curare in una clinica di Padova, ma quando esce tutto torna tragicamente come prima. Isolamento e cocaina.

Anche se a un certo punto arriva l’assoluzione definitiva sia per Campiglio che per gli altri processi per frode sportiva, Marco non reagisce: il ciclismo sembra non interessargli più. “Ho visto Marco prima di morire, l’ultima volta, a Milano, perché la sua manager ci aveva detto di andare là”, racconta mamma Tonina. “Marco era molto incazzato e diceva che non avrebbe mai scritto un libro. Va via e da allora non l’ho mai più visto vivo”.

La manager lo sente, per l’ultima volta, il 7 febbraio del 2004, 7 giorni prima della morte in quella stanza del residence Le Rose di Rimini. Mamma Tonina non ha dubbi: “La prima cosa che ho detto quando ci hanno chiamato è che me l’hanno ucciso e adesso sono ancora qui a dirlo: me l’hanno ucciso”.

Nella prima parte dello speciale vi abbiamo raccontato di 15 anni di misteri; nella seconda parte abbiamo ripercorso la carriera in bici del Pirata; nella terza vi abbiamo invece riportato al giorno in cui Marco viene fermato dopo un controllo antidoping; nella quarta abbiamo iniziato a parlarvi di cosa potrebbe celarsi dietro al calvario del Pirata.

Speciale de Le Iene: com'è morto Marco Pantani?

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