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News | di Matteo Gamba |

Attacchi di panico, Francesca: “Malata da 20 anni: qualcuno è mai guarito?”

Sesta tappa della nostra “terapia di gruppo”. Francesca ci racconta la sua lotta ventennale, dal primo attacco al dramma in gravidanza, fino all’aiuto inaspettato di un “porchettaro”. Con una domanda rivolta a tutti

Il momento peggiore è stata la gravidanza, che pure dovrebbe essere quello più bello della vita. Avevo abbassato il dosaggio dei farmaci, per tutelare il bambino: avevo attacchi di panico continui, non riuscivo più a vivere. Con il consiglio dei medici abbiamo aumentato un po’ le dosi e ce l’ho fatta”.

Francesca quel figlio l’ha avuto. Preferisce non mettere il cognome e usare una foto in cui non la si riconosce completamente. Ma di coraggio ne ha da vendere, combattendo contro la malattia da 20 anni. Che è una guerriera si sente subito al telefono, nella sesta tappa della nostra “terapia di gruppo” di cui in fondo potete trovare le puntate precedenti.

Quando hai avuto il tuo primo attacco di panico?
“A 18 anni, aspettando l’inizio del concerto di Vasco Rossi. In realtà forse quello era proprio un collasso da caldo. Dal mese dopo sono iniziati quelli veri: tachicardia, sudori freddi, paura, stordimento e senso di irrealtà, inizio a non vederci più, a sentire i rumori lontani, mi gira la testa, mi manca l’aria. Un crescendo, un grido che ti sale da dentro, fino a quando parte la sensazione imminente di morte. Inizio a gridare come una pazza ‘Aiutamemi, sto morendo’. Urlavo tanto forte, davvero come una matta, che mia madre all’inizio pensava che mi drogassi”.

Non ti hanno mai dato una pausa?
“Qualcuna, poche. Ho 38 anni: io e gli attacchi di panico compiamo 20 anni insieme. Mi hanno accompagnato perfino all’altare. Ne ho avuto uno lungo tutto il tragitto, partendo da casa. Ho preso tre gocce e mi sono sposata”.

Magari la cosa mette un po’ d’ansia a tutti…
“Sì, ma non fino a pensare di star morendo! Comunque la psiche l’ho scandagliata a fondo, anzi diciamo proprio che le ho provate tutte: psicoterapeuta, ipnosi, Emdr (“il pendolino” per intenderci, che non c’entra niente con la magia), mindfulness, training autogeno, psichiatra con farmaci, neurologo con farmaci, la soluzione con cui mi trovo meglio”.

A cosa hai dovuto rinunciare nella vita?
“A tanto. Feste, discoteche, centri commerciali, luoghi affollati in genere per me sono a rischio. Però se ci ho avuto un attacco dentro, poi il mese dopo ci torno, accompagnata magari. Anche guidare da sola è un problema. Lotto sempre contro la paura della paura, le strategie di evitamento, perché lo so che il rischio finale è chiudermi in casa: non l’ho mai fatto. Però riesco a viaggiare e a lavorare, con una mia agenzia immobiliare: in un ufficio, con orari fissi avrei dei problemi”.

Come stai ora?
“Meglio, ma non sono guarita. Anzi, vorrei sapere che esiste qualcuno che è mai guarito davvero. Non da poco, ma da 10, 20 anni. Lancio il mio piccolo appello: fatemelo sapere, se potete, se c'è qualcuno. Non chi riesce a gestire il disturbo, vorrei sapere se esiste qualcuno che è proprio ‘guarito’, che non ha più a che fare con ansia e attacchi?”.

Te riesci a gestirli?  
“Sì, è per questo che sto meglio. È come con gli attentati terroristici, scusando il paragone, solo che te li fai da solo: nell’ultimo mese ne ho sventati 10, uno però è riuscito a colpire”.

Come sventi gli auto-attentati?
“Riconoscendo i sintomi prima e togliendomi da situazioni ansiogene. Poi ci sono i farmaci. E c’è la carta di chiedere aiuto: ‘Mi scusi, soffro di attacchi di panico, ne sto per avere uno: può darmi una mano?’. La società è cambiata, non solo ne soffrono in tantissimi ma altrettanti li conoscono. Una volta ho chiesto aiuto a un 'porchettaro’ per strada. Mi ha fatto sedere, dato un bicchire d’acqua e confortato: ‘Nessun problema, guardi che anche mio padre ne soffre”.

Parlarne fa bene quindi?
“Certo! Non hai idea di quante persone rispondo subito ‘Anch’io ne soffro’”.

Con amici, genitori e amici come va?
“A volte è più difficile, sono emotivamente coinvolti e non accettano di non riuscire a risolvere il problema. Io ho un trucco: ho portato mio marito, la mia migliore amica e pure la mia socia dal neurologo con me. Lì hanno capito davvero”.  

Francesca aggiunge così un altro fondamentale “mattoncino” nella nostra “terapia di gruppo” a tema ansia e attacchi di panicoObiettivo: costruire un mosaico di soluzioni e "lezioni" su cosa sono e su come affrontare meglio questi disturbi. Sono già arrivate centinaia di email: grazie! Leggiamo tutto, magari in ritardo ma leggiamo tutto.

Da ogni testimonianza, fondamentale in sé, caviamo una lezione. Jessica Maritato, Michela Gallo, Lisa Giacomel, Chiara Greci e Michele Carbone hanno voluto metterci nome, cognome faccia: potete farlo tutti, in video via Skype oppure dopo un’intervista telefonica con un articolo scritto o anche decidendo insieme di pubblicare direttamente l’email. Potete scegliere pure il totale  anonimato. C'è anche questa via intermedia di Francesca: solo nome e volto non completamente riconoscibile.
 
Dall’intervista a Jessica si esce avendo capito in concreto il nucleo del sintomo terribile dell’attacco di panico: “Sto morendo, ora”. Ci ha insegnato anche l’importanza della terapia psicologica e di combattere per una terapia che funzioni e che sia gratis per tutti. E l’incomprensione che può arrivare anche da chi ti sta più vicino: “Ho trovato più conforto in uno sguardo regalatomi da un conoscente che in frasi dette dagli ‘amici’”.

Con l’email di Michela Gallo abbiamo imparato la trappola mortale della “paura della paura” che fa a pezzi, pezzo per pezzo, la vita, con le “strategie di evitamento”, ovvero evitare ogni situazione che potrebbe scatenare il panico. L’esito finale può essere quello di chiudersi in casa. E il fatto che questi disturbi possono colpire chiunque: “Un attacco di panico a me? Ma se ho una vita praticamente perfetta. Beh, l’hai avuto, quindi qualcosa deve pur esserci. Puoi mentire agli altri, non alla tua mente”.

Il cuore della lezione dolorosa dell’intervista video alla dolcissima Lisa Giacomel, 21 anni, va oltre l’incomprensione di tanti. Il doppio dramma si consuma dentro a una scuola: quello di soffrire, come un cane, per i primi attacchi di panico della sua vita e di essere contemporaneamente oggetto del bullismo dei suoi compagni di classe. “Io mi sento morire ma non lo faccio apposta, magari lo facessi apposta, ero diventata lo zimbello della classe”, racconta in lacrime nel video.

Dell’email di Chiara, che si cura con i farmaci, colpisce subito al quel cuore quel “Vedi gli occhi delle persone che pensano che tu sia matta”. Ci insegna che la causa scatenante può essere anche un trauma esterno, un trauma enorme come perdere la mamma, un “trucco” comune (“La prima cosa che faccio in un posto che non conosco è cercare l'uscita”) e un motto da diffondere: “Ho "solo" un piccolo difetto di fabbrica che si chiama ANSIA”.

L’intervista video a Michele Carbone è stato un altro passo importante. Parla un uomo (“Sì, è più difficile: ci si sente ancora giudicati come ‘meno virili’), non solo: parla uno psicoterapeuta che ha dedicato la vita a curare gli attacchi di panico negli altri “per non arrivare a perdere tutto come è successo a me”. Grazie a lui abbiamo imparato il nucleo psicologico scatenante del disturbo: “Un conflitto interno, di cui magari non siamo coscienti. Quando noi per esempio siamo di fronte a un cambiamento o a una decisione”.

Resta aperta e rivolta a tutti intanto la domanda di Francesca: “Qualcuno è mai guarito dagli attacchi di panico? Non da poco, ma da almeno 10-20 anni, senza aver avuto più a che fare con questa malattia?”
  
Ecco qui in basso le prime cinque tappe della nostra "terapia di gruppo".  

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