Attacchi di panico. Camilla, 25 anni: “Figli, nozze? Io non posso” | VIDEO
Camilla Fresolone racconta anche in video la sua lotta durissima, iniziata a 9 anni, che ancora la colpisce in ogni aspetto della vita. È un appuntamento particolarmente duro il settimo della nostra “terapia di gruppo”
Fa male sentire una ragazza di 25 anni che non vede un futuro, come ci racconta Camilla nell’intervista video via Skype qui sopra che, seppure con un collegamento web pessimo, tocca lo stesso l’anima. Una ragazza che vorrebbe un figlio ma sente di non poterlo avere, che non pensa nemmeno di riuscire a sposarsi e che sa benissimo di chi è la colpa: gli attacchi di panico, di cui soffre da quando aveva 9 anni.
È un pugno allo stomaco particolarmente duro la storia che ci racconta Camilla Fresolone in questo settimo appuntamento a tema “Ansia e attacchi di panico”. Fin da quando ci dice che, dopo i primi attacchi, a 9 anni, “il preside chiese a mia madre che me ne andassi dalla scuola perché non erano preparati ad affrontare il mio disturbo e si potevano creare problemi agli altri alunni”. Ma la bambina non se ne va, grazie a “una maestra che mi ha preso a cuore”.
In terza media il panico torna all’attacco, con molta più forza, e alle superiori, come ci racconta al telefono, Camilla cade anche in depressione. “La psicoterapia mi ha aiutato un bel po’”, ma si cura soprattutto con i farmaci, per compensare una scarsa produzione di serotonina, con l’effetto collaterale di una tendenziale dipendenza: “Vado in crisi anche se esco e se non li ho con me”.
Parliamo di una ragazza che quando va bene ha 2-3 attacchi al mese, quando invece è un periodo negativo li ha un giorno sì e uno no, ma anche due nello stesso giorno. Parliamo di una ragazza che, anche alle superiori, aveva bisogno di vedere in strada dalla finestra sua madre, che non poteva andare così a lavorare: “Viveva in simbiosi con me 24 ore su 24, anche la notte mi stava vicina, mentre tremavo”.
Una ragazza che sta ancora molto in casa, mai da sola, ha problemi ad andare sui mezzi pubblici, che non viaggia e si sposta quasi solo in auto e con persone fidate, che ha dovuto rinunciare alla musica, al canto, nonostante avesse vinto alcuni concorsi, perché sarebbe dovuta andare a Milano.
Vive nella cittadina di Eboli, in provincia di Salerno, lì anche l’accesso alle terapie più nuove è difficile: “I medici dovrebbero dare la disponibilità ad andare nelle città più piccole, soprattutto al Sud. Io dai grandi dottori di Milano o Roma non posso andarci, perché non mi sposto”.
“Sto perdendo gli anni migliori della mia vita”, ci ha scritto nella prima email. “Ho 25 anni, ma ne sento molti meno perché fino a tempo fa mi affidavo totalmente a mia madre”, dice via Skype. Poi ha iniziato ad affidarsi completamente per un anno e mezzo al suo fidanzato. Da tre mesi ne ha un altro ma stavolta cerca di affrontare gli attacchi da sola. Per cercare di recuperare gli anni persi della sua vita e, soprattutto, per non perderne altri, “anche se purtroppo so che non andrà così”.
Lavorava, ma non riusciva a stare sola in negozio. Anche studiare resta un problema. L’Università chiede la frequenza ma lei spesso non ce la fa proprio ad andarci: “I certificati dei medici sulla mia malattia non vengono accettati da tutti i professori, così sono indietro con gli esami. Studio Scienze della formazione primaria per diventare insegnante di primaria o d’infanzia: adoro stare con i bambini, anche perché loro non mi mettono mai ansia”.
Quando pensa a un figlio però si apre il “buco nero” del futuro: “Io non vedo un futuro, vivo alla giornata. Per come sono adesso, adorerei avere un bambino ma non potrei mai averlo perché gli trasmetterei soltanto le mie ansie. O anche sposarsi: io non potrei mai rimanere da sola a casa, non la vedo una vita normale”.
Ecco così un nuovo mattone pesante e fondamentale per la “terapia di gruppo” a tema ansia e attacchi di panico che stiamo costruendo. Obiettivo: arrivare a un mosaico di soluzioni e "lezioni" su cosa sono e su come affrontare meglio questi disturbi. Mentre continuano ad arrivare centinaia di email: grazie! Leggiamo tutto, magari in ritardo, ma leggiamo tutto.
Da ogni testimonianza cerchiamo di cavare appunto una lezione. Jessica Maritato, Michela Gallo, Lisa Giacomel, Chiara Greci, Michele Carbone e ora Camilla Fresolone hanno voluto metterci nome, cognome e faccia: potete farlo tutti, in video via Skype oppure dopo un’intervista telefonica con un articolo scritto o anche decidendo insieme di pubblicare direttamente l’email. Potete scegliere pure il totale anonimato. C'è anche la via intermedia di Francesca: solo nome e volto non completamente riconoscibile.
L’intervista a Jessica ci fa capire il nucleo dell’attacco di panico: “Sto morendo, ora”. Ci ha insegnato anche l’importanza della terapia psicologica e di combattere per ottenerla gratis, per tutti e che funzioni. E l’incomprensione che può arrivare anche da chi ti sta più vicino: “Ho trovato più conforto in uno sguardo regalatomi da un conoscente che in frasi dette dagli ‘amici’”.
Dall’email di Michela Gallo abbiamo imparato la trappola della “paura della paura” che fa a pezzi, pezzo per pezzo, la vita, con le “strategie di evitamento”, ovvero evitare ogni situazione che potrebbe scatenare il panico. L’esito finale può essere quello di chiudersi in casa. E il fatto che questi disturbi possono colpire chiunque: “Un attacco di panico a me? Ma se ho una vita praticamente perfetta. Beh, l’hai avuto, quindi qualcosa deve pur esserci. Puoi mentire agli altri, non alla tua mente”.
Il cuore della lezione dell’intervista video alla dolcissima Lisa Giacomel, 21 anni, va oltre l’incomprensione di tanti. Il suo doppio dramma si consuma dentro a una scuola: è quello di soffrire, come un cane, per i primi attacchi di panico della sua vita e di essere contemporaneamente vittima del bullismo dei suoi compagni di classe. “Io mi sento morire ma non lo faccio apposta, magari lo facessi apposta, ero diventata lo zimbello della classe”, racconta in lacrime nel video.
L’email di Chiara Greci, che si cura con i farmaci, colpisce al cuore con quel “Vedi gli occhi delle persone che pensano che tu sia matta”. Ci insegna che la causa scatenante può essere anche un trauma esterno, un trauma enorme come perdere la mamma, un “trucco” comune (“La prima cosa che faccio in un posto che non conosco è cercare l'uscita”) e un motto da diffondere: “Ho "solo" un piccolo difetto di fabbrica che si chiama ANSIA”.
L’intervista video a Michele Carbone è stato un altro passo importante. Parla un uomo (“sì, è più difficile per un maschio: ci si sente ancora giudicati come ‘meno virili’"). Non solo: parla uno psicoterapeuta che ha dedicato la vita a curare gli attacchi di panico negli altri “per non arrivare a perdere tutto come è successo a me”. Grazie a lui abbiamo imparato il nucleo psicologico scatenante del disturbo: “Un conflitto interno, di cui magari non siamo coscienti”.
Resta aperta intanto la domanda dell’intervista a Francesca: “Qualcuno è mai guarito dagli attacchi di panico? Non da poco, ma da almeno 10-20 anni, senza aver avuto più a che fare con questa malattia”. Francesca è malata da 20 anni, si è trovata nell’incubo anche durante quello che dovrebbe uno dei momenti più belli della vita, la gravidanza. Combatte con tutti i mezzi: “È come con gli attentati, solo che sei te che te li fai da sola: questo mese ho sventato 10 attacchi di panico, uno però è riuscito a colpire”.
Ecco qui in basso le prime sei tappe della nostra "terapia di gruppo".