Omicidio Vannini, la Cassazione: “Se fosse stato soccorso sarebbe vivo” | VIDEO
Secondo le motivazioni della Cassazione sull’omicidio di Marco Vannini il ragazzo di 20 anni poteva salvarsi se fosse stato soccorso per tempo dopo lo sparo partito la sera del 17 maggio 2015. La tragedia per la Suprema Corte è “ascrivibile soltanto ad Antonio Ciontoli, rimase inerte ostacolando i soccorsi”. Con Giulio Golia stiamo seguendo da tempo questa vicenda e le tante domande rimaste ancora senza risposta
Marco Vannini se fosse stato soccorso in tempo dalla famiglia Ciontoli sarebbe ancora vivo. Lo scrive la Cassazione nelle motivazioni della sentenza dello scorso 7 febbraio quando la Suprema Corte ha accolto il ricorso della procura generale e ha annullato il giudizio del secondo grado.
Il processo d’Appello è quindi da rifare per tutti i componenti della famiglia di Antonio Ciontoli. Nel primo Appello il padre della fidanzata di Marco era stato condannato a 5 anni per omicidio colposo, in primo grado a 14 anni per omicidio volontario. In Appello era stata confermata invece la condanna a 3 anni per omicidio colposo per la moglie Maria Pezzillo e i due figli Federico e Martina (fidanzata con Marco).
Secondo le motivazioni della Cassazione, la morte del ragazzo di 20 anni sopraggiunse dopo il colpo di pistola “ascrivibile soltanto ad Antonio Ciontoli” che “rimase inerte ostacolando i soccorsi” e fu “la conseguenza sia delle lesioni causate dallo sparo che della mancanza di soccorsi che, certamente, se tempestivamente attivati, avrebbero scongiurato l'effetto infausto”.
Per i giudici della prima sezione della Cassazione, Antonio Ciontoli “era consapevole di avere esploso un colpo di pistola, di aver colpito con un proiettile che era rimasto all'interno del corpo della vittima, e rappresentandosi la probabilità della morte, fece di tutto per occultare le proprie responsabilità, prima rifiutandosi di chiamare i soccorsi e poi, a fronte della chiamata fatta dal figlio, rassicurando i soccorritori sul fatto che non serviva un loro intervento”.
Nelle settimane successive alla sentenza della Cassazione è emerso un nuovo clamoroso elemento. Il ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, come vi abbiamo raccontato con Giulio Golia, ha promosso un’azione disciplinare contro Alessandra D’Amore, la pm che ha indagato sull'omicidio del ragazzo morto ad appena 20 anni: secondo il ministero potrebbe aver violato i doveri di diligenza e laboriosità creando un ingiusto danno ai genitori del ragazzo morto a 20 anni (leggi qui l’articolo).
Non si è fatta attendere pochi giorni dopo la risposta della procura di Civitavecchia. Con Giulio Golia abbiamo risposto punto per punto a tutti i dubbi attorno alla vicenda. A partire dagli interrogativi attorno al luogo del delitto: perché non è stata sequestrata la villetta? Perché poi Antonio Ciontoli avrebbe accompagnato i carabinieri nel sopralluogo nell’appartamento? E ancora: perché non sono stati sentiti tutti i testimoni e i vicini di casa? (leggi qui le domande ancora senza risposta).
“È una cosa che aspettavamo e ha ridato quel sorriso che a Marina mancava da tanto tempo”, ha detto Valerio Vannini, il papà di Marco, dopo la sentenza di Cassazione di febbraio. “È vero, mi ha detto: è la prima volta che ti vedo il sorriso come quando c’era Marco”, conferma Marina Conte, la mamma di Marco. “Mio figlio se la merita giustizia. L’hanno lasciato morire a 20 anni, lui si poteva salvare”.
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