> External link Facebook Facebook Messenger Full Screen Google+ Instagram LinkedIn News mostra di più Twitter WhatsApp Close
News |

Le Iene incontrano Rosa Bazzi in carcere: "Uccidere un bambino? Ma come avrei potuto!"

Antonino Monteleone e Marco Occhipinti incontrano Rosa Bazzi, condannata all'ergastolo insieme al marito Olindo Romano per la strage di Erba. Presto in onda un'intervista della Bazzi a Le Iene?

Per 12 anni Rosa Bazzi non ha mai voluto parlare con nessun giornalista di quella maledetta sera. L'11 dicembre del 2006, quando a perdere la vita sono tre donne e un bambino, che abitava con la sua mamma al primo piano di una palazzina nella corte di via Diaz a Erba. 

L’unico superstite di quella mattanza si è salvato per puro caso ed è rimasto gravemente ferito. Anche lui con la gola tagliata, come tutte le altre vittime.

La donna che stiamo per incontrare è una feroce assassina, come l’ha descritta quasi tutta la stampa italiana e come hanno stabilito 26 giudici in tre gradi di giudizio? O è un'innocente all’ergastolo, come sostengono due giornalisti investigativi che hanno studiato a fondo gli atti del processo? E come sostiene addirittura il padre e marito di due delle vittime del massacro.

Sono da poco passate le 9 del mattino quando oltrepassiamo l’ingresso della casa di reclusione di Bollate. Oggi con noi non abbiamo le telecamere perché non siamo autorizzati a riprendere il nostro incontro. Ci sono concessi solo un taccuino e una penna.

Dopo un veloce saluto dalla dottoressa Cosima Buccoliero, direttrice dell’istituto, ci incamminiamo nell’area dei detenuti. Bollate è un carcere modello, fiore all’occhiello del sistema penitenziario della Lombardia. Molti detenuti qui accedono ad attività lavorative interne ed esterne. Ed esiste anche un ristorante, da molti anni, aperto al pubblico. Incrociamo detenuti e operatori che ci guardano curiosi e raggiungiamo la sala “Giudici-Avvocati” dove ad attenderci c’è la detenuta insieme con la psicologa che la assiste.

Bazzi Rosa Anna, nata ad Erba il 12 settembre 1963. Detenuta matricola  9516/306. Una donna minuta che indossa un golf di lana blu, jeans scuri, scarpe nere. I capelli sono legati a coda di cavallo, gli occhi vivaci ed espressivi come un tempo. Rosa è curata nell’aspetto, il viso è rilassato e sembra che il carcere l’abbia invecchiata molto meno di quanto non abbia fatto invece con suo marito Olindo. E’ lei a sciogliere il ghiaccio e a fare gli onori di casa. Tra i presenti sembra essere la meno tesa, sorride e consegna alla Iena Antonino Monteleone un piccolo dono, realizzato presso i laboratori dove lavora ogni giorno.

Quando pensiamo a Rosa Bazzi, ci vengono in mente le immagini del suo volto deformato nell’espressione dal pianto disperato mentre parla davanti alla telecamera del criminologo Massimo Picozzi. E sempre tra le lacrime ricorda quella che sarebbe stata la dinamica della sua partecipazione attiva alla carneficina della palazzina di via Diaz. Un racconto che ha tante incongruenze rispetto a quanto confessato tempo prima davanti ai magistrati. E che differisce di molto anche da quanto confessato dal marito Olindo e soprattutto fa venire seri dubbi, se si osservano alcuni particolari che abbiamo scoperto a 12 anni di distanza.

In uno di quei video all’inizio e alla fine del suo racconto chiede al criminologo che la riprende: “Male”?, nel senso di: sono andata male? E Picozzi le risponde.”Bene, tutto sommato”. Rosa aveva raccontato di aver partecipato all’efferato assassinio di 4 persone, tra cui un bambino di due anni. E aveva pure raccontato di aver subito violenza sessuale da parte del marito e padre di due delle vittime, Azouz Marzouk. Mentre questa parte del racconto di Rosa non sarà creduta dai magistrati, tutto il resto invece sì.

Davanti a noi oggi c’è una donna molto cambiata. Sembra una persona meno ingenua, meno fragile. Più consapevole dei propri diritti, più sicura si sé. E ora sembra comprendere molto bene cosa voglia dire la parola ergastolo. Adesso che porta addosso il peso di 12 anni di carcere, con la prospettiva di non uscire più per il resto dei suoi giorni.

Tante, come vi abbiamo mostrato nei nostri speciali, le lacune investigative dell'indagine che ha portato Rosa Bazzi insieme al marito Olindo Roma dietro le sbarre per il pluriomicidio aggravato di Raffaella Castagna, sua mamma Paola Galli, il piccolo Youssef Marzouk, figlio di Raffaella e la vicina di casa Valeria Cherubini. Intercettazioni sparite, reperti mai analizzati e distrutti. E le tre fragili prove a carico della coppia ci sono la testimonianza del vicino di casa, gravemente ferito, ma scampato alla strage Mario Frigerio, che prima ricordava un aggressore dalla pelle scura, non del posto e che non aveva mai visto prima. Invece dopo un colloquio investigativo con il maresciallo Gallorini, che per nove volte gli farà il nome di Olindo, il vicino cambierà ricordo, e racconterà di essere stato aggredito proprio da Olindo Romano. L’altra prova è la macchia di sangue sul battitacco dell’auto di Olindo, unica prova scientifica che collegherebbe lo spazzino di Erba alla scena del crimine. Se non fosse che la macchia non si vede, perché non è stata fotografata con un mezzo di contrasto dal carabiniere che l’ha rilevata, come è prassi fare in questi casi. E se non fosse che quella macchia potrebbe essere  comunque frutto di contaminazione ambientale. Come dichiarato ai nostri microfoni dallo stesso brigadiere Fadda, che di quella macchia si è occupato personalmente. E infine la prova delle confessioni dei due, arrivate in un secondo momento, poi ritrattate prima del processo e che comunque presentano centinaia di incongruenze rispetto a quanto ricostruito dagli inquirenti sulla scena del crimine.

Abbiamo chiesto di incontrare Rosa Bazzi perché da molti mesi cerchiamo di ottenere la sua disponibilità a registrare un’intervista in video, come già prima di lei siamo riusciti a fare con il marito Olindo Romano.

Aveva accettato, mesi fa, cambiando repentinamente idea. Il motivo? Il perché del suo rifiuto, Rosa Bazzi, lo tiene in continuazione stretto tra le sue mani. Un portatessera di cuoio. Dentro c’è un cartellino con la sua foto. “Tessera di consegna detenuto n. 10232”.

Per Rosa, quel tesserino è tutto. «E’ l’unica cosa che mi ha ridato la dignità qui dentro».

Si tratta dell’autorizzazione che le consente di muoversi liberamente all’interno di alcune aree della casa di reclusione per recarsi al lavoro, consumare i pasti, interagire con le altre detenute. Lo ottiene chi si comporta bene, non riceve richiami e ha voglia di lavorare anche molte ore al giorno.

Rosa non vuole fare alcun passo falso che le faccia perdere questo diritto, ma soprattutto non vuole in alcun modo far niente che la possa in qualche modo allontanare dall’eventuale futura applicazione di quello che tutti qui in carcere chiamano semplicemente articolo 21. E’ la disposizione della legge penitenziaria che prevede la possibilità di lavorare all’esterno del carcere e che nei casi come quelli di Rosa, viene concessa solo dopo aver scontato almeno 10 anni di carcere. Ma tra i motivi non ci sono solo questi timori rispetto al percorso di rieducazione che ha intrapreso Rosa. C’è la legittima paura di chi l’ultima volta che è stata videoregistrata da qualcuno ha dato un’immagine di sé che ha contribuito fortemente alla condanna subìta.

Questo non è uno show – spiega - è la nostra vita. E già sto pagando tanto per i miei errori. Anche se sono errori che non hanno niente a che fare con ciò di cui sono accusata e che non ho mai commesso. Io uccidere un bambino? Ma stiamo scherzando? Non sarei mai capace di fare una cosa così orribile. Che colpa aveva quella creatura innocente? Io non avrei mai potuto uccidere un bambino, lo capite? Qui c’è di mezzo un bambino, ma come avrei potuto? Ci hanno fatto tanto male.”

Rosa non trattiene le lacrime anche se si sforza di non interrompere il ragionamento: “Litigavamo tutti i giorni con la Raffaella, lo sapevano tutti. E’ vero che eravamo esasperati, ma finiva lì. Non ero l’unica vicina ad avere avuto discussioni con la famiglia di Raffaella e Azouz. Anche altri vicini si lamentavano e magari ci litigavano, ma non è questo un motivo che può far scatenare una vendetta del genere”.

Rosa spiega di non essere riuscita a vedere tutti i nostri servizi, ma in qualche modo si mostra riconoscente con Le Iene: “Da quando avete cominciato ad occuparvi di questa storia ho capito meglio molte delle cose che i miei avvocati mi hanno spiegato in questi anni. Anche le vostre domande oggi, mi aiutano ad aprire dei cassetti della memoria rimasti chiusi per tutti questi anni”.

Ma la cosa che colpisce di più è che spesso è lei che fa le domande a noi: “Ma che fai? Arresti due persone così?”. Le lacrime continuano a scorrere: “Sono molto arrabbiata con Gallorini, se esco e me lo ritrovo davanti non cosa farei. Perché è andato da Frigerio a dirgli Olindo, Olindo, Olindo, Olindo…? E’ una cosa normale? Si fa così? Perché lo ha fatto? Noi quella sera non siamo saliti su in quella casa – spiega ancora Rosa -. Non c’è niente di noi in quella casa. Perché hanno distrutto i reperti? E’ normale distruggere i reperti a quel modo?” E poi tra una cosa e l’altra, a volte ritorna sulla questione che più sembra starle a cuore: “Io non avrei mai e poi mai toccato un bambino, lui che c’entrava? Ma stiamo scherzando”.

Rosa, che lei a un bambino non potrebbe mai fare del male, lo ripete più volte durante il nostro incontro. Guarda nel vuoto e ripete la sua incredulità rispetto a quanto le è stato contestato e a quanto tutti credono di lei. Sembra sincera, come del resto lo sembrava in quella video confessione rilasciata a Picozzi, che ha convinto tutta Italia della sua colpevolezza. Proviamo a chiederle come spiega quei video: “ho confessato perché speravo che così mi avrebbero fatto vedere Olindo. Avevo paura che me lo portassero via. Avevo molta paura. Dovevo stare a quello che mi dicevano loro. Anche alcuni agenti del carcere in cui ero rinchiusa allora, ebbero a discutere con lo psichiatra Picozzi. Non erano d’accordo con quello che mi stava facendo”.

Il suo avvocato interviene, cerca di capire meglio. Anche noi. Alcune delle cose che ci dice, fossero vere, sarebbero molto gravi e spiegherebbero tante cose rispetto a quei video. Abbiamo bisogno di fare alcune verifiche. Le voci e le domande di tutti si sovrappongono e lei prova a riportare la calma con una battuta: “Avvocato stia tranquillo, ma qui oggi siete tutti un po’ nervosi”.  

“Rosa, ma se è veramente così - la sfida Monteleone - se sei davvero innocente come dici, perché non acconsenti ad un’intervista in cui puoi dire la tua su tutta questa storia? Tutti quelli che credono sia tu l’assassina, potrebbero pensare che il tuo silenzio in qualche modo sia la più evidenti delle ammissioni”. “Abbiamo chiesto a Olindo di convincerti. Avete parlato?”, proviamo ancora. Rosa sorride e scuote la testa: “Olindo non l’ascolto più come un tempo. Se sono qui dentro è anche perché ho dato ascolto a lui. Adesso devo andare dritta per la mia strada. Un’intervista per un libro la farei senza problemi - risponde guardando verso l’alto - E’ arrivato il momento. Un’intervista video con le telecamere non lo so. Ci devo pensare. Ci devo pensare bene. Io qui ci devo vivere. Forse per tutta la vita”.

Rosa ci saluta, mentre mostra alle guardie orgogliosa il suo tesserino che le consente di tornare da sola al suo reparto. Non sembra la stessa Rosa che abbiamo conosciuto dalle tante immagini raccolte nei giorni successive alla strage e durante il processo. Il no iniziale all’intervista che le abbiamo chiesto è diventato un forse: il suo avvocato ci ha fatto sapere che ci sta pensando. Che ha chiesto di parlare con la direttrice del carcere e che ci farà sapere il prima possibile.

E finalmente, qualche giorno fa, è arrivata la sua risposta definitiva. Nei prossimi giorni vi faremo sapere qual è. Potrebbero esserci novità importanti. 

Clicca qui per vedere lo speciale sul caso Erba e guarda qui sotto gli ultimi servizi andati in onda successivamente 

 

 

Strage di Erba: i nuovi servizi de Le Iene

Ultime News

Vedi tutte