Strage di Erba, nuovo testimone: le cattive frequentazioni di Marzouk | VIDEO
Antonino Monteleone e Marco Occhipinti raccolgono il racconto esclusivo di un uomo che frequentava la casa della strage proprio nei mesi precedenti alla mattanza e racconta di una forte rivalità tra il gruppo di tunisini vicini ad Azouz Marzouk e quello dei marocchini che spacciava nella stessa zona. La Cassazione intanto ha detto no alla richiesta degli avvocati di Rosa Bazzi e Olindo Romano di analizzare i nuovi reperti della strage di Erba
La Cassazione ha appena detto no alla richiesta degli avvocati di Rosa Bazzi e Olindo Romano di analizzare i nuovi reperti della strage di Erba. Si tratta di reperti rinvenuti sulla scena del crimine e che in dodici anni nessuno prima d’ora ha mai esaminato. Tra questi ci sono gli abiti dell’unico superstite Mario Frigerio e del piccolo Youssef Marzouk. Rosa e Olindo sono stati condannati all'ergastolo per l'omicidio di Raffaella Castagna, di suo figlio Youssef, della madre Paola Galli e della vicina Valeria Cherubini in quella che il pubblico ministero in aula ha definito la più atroce impresa criminale della storia della Repubblica.
Sono circa due anni che ci occupiamo di questa vicenda e proviamo a esplorare la numerose zona d’ombra che la attraversano e in molti sorge un dubbio: e se ci trovassimo di fronte ad un possibile errore giudiziario che ha portato all’ergastolo due innocenti? Qui sotto potete trovare i principali articoli e servizi che abbiamo dedicato recentemente a questo caso.
Nel nuovo servizio che vedete qui sopra, dedicato alla strage di Erba, Antonino Monteleone ascolta la testimonianza esclusiva di un uomo che frequentava la casa della strage proprio nei mesi precedenti alla mattanza. Si tratta di dichiarazioni inedite, che rafforzano le ragioni di chi crede ancora oggi che sarebbe importante poter analizzare quei reperti mai analizzati trovati nella casa.
C’è chi ha ipotizzato la presenza di killer sconosciuti ai quali, secondo la difesa e non solo, avrebbero potuto portare le piste alternative che non potrebbero non essere state indagate fino in fondo dagli inquirenti nei giorni successivi alla strage. Tra le piste principali inizialmente c’era proprio quella delle “cattive frequentazioni” di Azouz Marzouk, il tunisino con precedenti penali che quella sera ha perso ciò che aveva di più caro al mondo e che non è affatto convinto dalle conclusioni a cui sono giunti 26 giudici in tre gradi di giudizio.
I carabinieri di Erba tra le prime ipotesi avevano considerato la concorrenzialità di diverse etnie nell’attività di spaccio tra i tunisini vicini ad Azouz, che gravitavano nel comune di Merone, e gli albanesi di Ponte Lambro, entrambe le località in provincia di Como e poco distanti da Erba. L’ipotesi presto fu scartata perché i carabinieri non trovarono riscontri. Ma mai nessuno fino ad oggi aveva raccontato della rivalità dei tunisini, in quel periodo, con un altro gruppo che spacciava nella zona.
A raccontarcela è Abdi Kais, tunisino arrestato insieme ai componenti del “clan Marzouk”, e che risultava residente nella casa di Azouz e Raffaella, luogo di ritrovo per amici e parenti del tunisino. L’uomo racconta ad Antonino Monteleone di una forte rivalità tra il gruppo di tunisini vicini ad Azouz Marzouk e quello dei marocchini che spacciava nella stessa zona tra Erba e Merone, comuni in provincia di Como. Rivalità che sarebbe sfociata in una rissa con accoltellamento da parte dei marocchini ai danni di Abdi Kais e del fratello e di due cugini di Azouz Marzouk.
“Alcuni marocchini hanno accoltellato me, il fratello di Azouz, Borhen il cugino e il fratello di Borhen che abita a Como. C’erano problemi per motivi di droga”, racconta Abdi Kais nel servizio che potete vedere qui sopra. Secondo le dichiarazioni dell’uomo i tunisini avrebbero avuto la peggio con ferite di arma da taglio e Abdi sarebbe andato in ospedale per farsi medicare. L’episodio avrebbe dato luogo a una vera e propria faida tra i due gruppi. E non solo: “Un tunisino, Amer, nascondeva sempre cocaina nella cantina, (di Azouz e Raffaella, ndr.)”, racconta ancora Kais. “Perché dai nascondigli del bosco di fronte a Merone spesso veniva a mancare”. L’uomo sostiene quindi che quantitativi di cocaina venissero nascosti nella cantina della casa di Raffaella e di Azouz, a due passi da piazza del Mercato, la piazza dello spaccio a Erba.
Secondo Kais non furono Rosa e Olindo a commettere la strage, perché incompatibili per corporatura, preparazione fisica, velocità di esecuzione a quel tipo di mattanza di donne e uomini sgozzati: “Sono 5 persone, non una o due. Guardando Olindo e Rosa, non è possibile. La corporatura di Raffaella era abbastanza forte, non è facile buttarla giù per terra. Invece quei marocchini erano aggressivi per il modo in cui hanno tirato fuori i coltelli, io non me lo immaginavo per di più sono anche un atleta quindi so difendermi”.
Negli anni scorsi per tre volte la difesa di Rosa e Olindo ha chiesto alla Cassazione di poter analizzare i reperti rinvenuti sulla scena del crimine e nonostante tre decisioni favorevoli in tal senso, le Corti di Como e Brescia di volta in volta non hanno acconsentito a queste analisi.
E così per la quarta volta la difesa di Rosa e Olindo è tornata in Cassazione. “Purtroppo è arrivata una notizia contraria”, dice Fabio Schembri, l’avvocato di Rosa Bazzi e Olindo Romano. “Nel senso che c’è stato un rigetto che allo stato impedisce l’analisi di questi reperti, che sarebbe stato molto importante analizzare al fine di presentare insieme ad altri elementi la richiesta di riapertura del processo”.
Il ricorso è stato respinto, ma rimane ancora uno spiraglio riguardo alle motivazioni, non ancora pubblicate, che accompagneranno questa decisione. “Io mi auguro e spero che nella motivazione la Corte di Cassazione possa indicare una strada tramite la quale farci analizzare questi reperti”, continua Schembri.
Un’eventuale analisi dei reperti potrebbe risultare decisiva a rintracciare quel dna di Rosa e Olindo mai ritrovato sulla scena del crimine e buttare quindi via la chiave che rinchiude i due condannati oppure a individuare il dna di estranei, che farebbe pensare alla presenza di killer sconosciuti, e in questa eventualità a riaprire il caso.
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