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Rosa e Olindo: quelle confessioni per salvare l'altro dal carcere | INTERCETTAZIONI

Con il quarto appuntamento con le intercettazioni esclusive di Rosa Bazzi e Olindo Romano arriviamo al cuore del caso della Strage di Erba per la quale sono stati condannati all’ergastolo. Ognuno dei due avrebbe confessato per far uscire l’altro dal carcere, pensando di tornare in libertà entro pochi anni "tra attenuanti e rito abbreviato"

“Se sono innocenti, perché hanno confessato?”: è questa l’obiezione più forte a chi solleva dubbi sulla colpevolezza di Rosa e Olindo. Le intercettazioni esclusive che potete ascoltare qui sopra e più in basso offrono una spiegazione: l’hanno fatto ognuno per far uscire l’altro dal carcere, pensando di tornare in libertà entro pochi anni "tra attenuanti e rito abbreviato".

Con il quarto appuntamento con le intercettazioni esclusive di Rosa Bazzi e Olindo Romano, arriviamo al cuore del caso della Strage di Erba per la quale la coppia è stata condannata all’ergastolo: le confessioni, che verranno poi ritrattate.

Nei giorni precedenti vi abbiamo fatto sentire altre intercettazioni esclusive della coppia, in auto, in due telefonate, con un’amica e con un avvocato, il giorno prima di finire in manette e il giorno dell’arresto (cliccando su ciascun link potete ascoltarle o riascoltarle). Continuiamo a proporvele in attesa dell’udienza del 3 febbraio in cui i giudici dovranno decidere della richiesta degli avvocati di Rosa e Olindo di poter esaminare reperti e intercettazioni mai analizzate nel processo. Di tutto questo caso ci occuperemo poi con nuovi servizi e rivelazioni clamorose con il ritorno in onda a febbraio de Le Iene

L’8 gennaio 2007 Rosa Bazzi e Olindo Romano vengono arrestati e portati di fronte ai pubblici ministeri con l’accusa di essere gli autori dei 4 omicidi dei vicini della Strage di Erba dell’11 dicembre 2006. Si dichiarano innocenti e ripetono per l’ennesima volta quello che hanno sempre raccontato dall’inizio delle indagini, che non c’entrano niente, che non sono gli autori della strage, che non sarebbero mai capaci di un gesto del genere.

Secondo la legge, sarebbe dovuta finire lì: i pubblici ministeri hanno raccolto le loro dichiarazioni ufficiali e, come prevede la norma, ora sono a disposizione del giudice per le indagini preliminari.

Invece, due giorni dopo, il 10 gennaio i coniugi sono di nuovo davanti ai magistrati, questa volta per dichiararsi colpevoli. Com’è possibile che siano finiti a parlare ancora coi pubblici ministeri? La risposta sta nelle intercettazioni che vi facciamo sentire qui sopra.

La mattina del 10 gennaio due carabinieri vanno a prendere le impronte digitali a Olindo Romano. Dicono di essersi fermati solo un paio di minuti. Qualche ora più tardi Olindo chiede di essere ascoltato dai magistrati e si dichiara colpevole.

Cosa è successo di così cruciale da aver fatto cambiare idea a Olindo?

Il dibattimento in aula permette di illuminare questa zona d’ombra. I carabinieri all’inizio della loro deposizione dicono di essersi fermati, il 10 gennaio, qualche minuto, giusto il tempo per prendere le impronte. Successivamente, a domande incalzanti, i due minuti si dilatano a 20, poi a 30 fino a diventare 4 ore. Olindo Romano ha passato l’intera mattinata insieme ai due carabinieri di Como. Uno dei due, Finocchiaro, dice che l’unica preoccupazione di Olindo Romano era Rosa: continuava a ripetere che sua moglie non c’entrava assolutamente nulla, chiedeva che la mandassero a casa. Finocchiaro gli ha detto che se voleva che la moglie andasse a casa, bastava che tornasse dai magistrati e dicesse loro che era estranea ai fatti: “Se sua moglie non c’entra nulla, allora lei Romano qualcosa avrà visto e fatto”. Gli hanno suggerito di chiamare i pubblici ministeri e dire quello che sapeva per scagionare Rosa. Poi, con le attenuanti generiche e il rito abbreviato, lui l’avrebbe raggiunta nel giro di quattro o cinque anni.

Fatte queste premesse, si capisce il senso delle due intercettazioni che vi facciamo ascoltare.

La prima, che vi proponiamo sopra, è del 10 gennaio alle ore 14.30. Dopo la mattinata passata insieme, i carabinieri accompagnano Olindo da Rosa, prima che lei arrivi, lui si rivolge a uno dei due: “Il suo collega mi diceva che si può anche lavorare (in carcere) e percepire uno stipendio”. Fa riferimento probabilmente a una conversazione avuta nelle ore precedenti in cui si valutava l’eventualità di una confessione e le sue conseguenze penali.

Quali siano queste conseguenze è chiarito dallo stesso Romano nel successivo scambio concitato con la moglie:

Olindo: “(il magistrato) Mi ha spiegato e mi ha detto che… loro ci tengono qui perché devono fare ancora delle indagini…”.
Rosa: “Sì”.
Olindo: “Se per disgrazia trovano qualcosa, ti processano e ti danno l’ergastolo. Se invece confessi, hai le attenuanti e il rito abbreviato. Dici la verità che la moglie non c’entra niente ti ha fatto solo l’alibi ecc ecc… e non becchi niente!”.
Rosa: “Ma non è vero, Olli!”.
Olindo: “E io becco le attenuanti e finisce tutta la storia”.

Romano nomina le attenuanti e il rito abbreviato. È difficile immaginare che possa sapere di cosa sta parlando, dato che dall’intercettazione del 7 gennaio con l’avvocato Rocchetti appare del tutto inesperto di questioni legali. Sembrano informazioni che ripete e che ha sentito pronunciare da qualcuno.

A questo punto la situazione prende la svolta brusca e inaspettata che cambierà tutto il corso della loro vicenda processuale.

Rosa: “Come stai tu?”.
Olindo: “Io ti dico la verità. Lì dentro non ce… non ne posso più. Sono in isolamento”.
Rosa: “Anche io”.
Olindo: “E non so. O se continuare così, lasciare fare quello che devono fare e dopo prendere poi quello che si prende. E se non si dice… si fa la confessione…”.
Rosa: “Ma che cosa c’è da confessare? Non siamo stati noi!”.
Olindo: “Lo so, aspetta, per tagliare le gambe al toro, metti che sono stato io…”.
Rosa: “Ma quando sei andato su?”.
Olindo: “Non lo so”.
Rosa: “Dimmi, quando sei andato su?”.
Olindo: “Lo so, Rosa, ma è per far finire questa storia qui”.
Rosa: “Ma perché devi dire quello che non è? Non è vero niente Olli. Sai che non è vero niente tutta questa cosa… ancora adesso io lo dico… E torno sempre a ripetere… ti pesa così tanto?”.
Olindo: “Stare dentro sì”.
Rosa: “Cosa vuoi fare?”.
Olindo: “Non lo so. Se facciamo così prendiamo anche dei benefici e ce ne andiamo a casa”.
Rosa: “Ma cosa vado a fare Olli? Vuoi che esco di qua e mi butto sotto un treno?”
Olindo: “No, quello no, ciccia”.

Sono schiacciati dalla pressione esercitata dall’isolamento in carcere, dallo stare separati per la prima volta dopo vent’anni di vita insieme, dalla fatica di comprendere la situazione in cui si trovano. È in questo contesto che nascono le famigerate confessioni.

La situazione precipita ulteriormente nella seconda intercettazione che vi facciamo sentire: stesso giorno, 10 gennaio alle 15.22, a un’ora scarsa dall’audio precedente.

Rosa resta da sola con un’agente.


 

Rosa: “Gli deve dire (a Olindo)…”
Agente: “Che cosa?”.
Rosa: “Le cose che sta succedendo, non si deve prendere la colpa, lui si sta prendendo la colpa… ti prego mi aiuti? non deve farlo… gli puoi chiedere solamente se può venire mezzo secondo?”.

E poco dopo:
Rosa: “Lei dà… una notizia a mio marito?”.
Agente: “Ma cosa devo dirgli?”.
Rosa: “Che mi prendo tutto io, di non preoccuparsi che non mi fa paura stare qui dentro. Diglielo ti prego
”.
Agente: “Questa cosa non gliela posso dire, questa è una cosa che deve dire al magistrato. Non tocca a me dirglielo”.

Poco dopo questa conversazione, presa dalla foga di salvare il marito, Rosa rilascia la sua prima confessione ai magistrati, anticipando di fatto quella di Olindo.

Lei dirà: ho fatto tutto io, lui dirà: ho fatto tutto io. Inizia in questo modo la gara a chi si assume per primo la responsabilità della strage.

Ecco qui sotto le precedenti intercettazioni, i servizi principali e lo speciale che abbiamo dedicato finora alla Strage di Erba.

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