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Strage di Erba: nuovo colpo di scena | VIDEO

Antonino Monteleone e Marco Occhipinti tornano sui troppi misteri ancora irrisolti della Strage di Erba dove nel dicembre 2006 furono massacrate 4 persone tra cui un bimbo di appena due anni. Ora, tra le tante cose che non tornano nelle indagini, un nuovo colpo di scena: dall’ufficio corpi di reato del Tribunale di Como salta fuori un nuovo scatolone con gli abiti dell’unico superstite Mario Frigerio e del piccolo Youssef Marzouk. Ma non erano stati tutti distrutti due anni fa? Dalla Cassazione arriva poi un nuovo no ad analizzare questi reperti e alcune intercettazioni telefoniche e ambientali 

Aggiornamenti

  • La Cassazione respinge approfondimenti su nuovi reperti

    La Cassazione dice no alla nuova richiesta degli avvocati di Rosa Bazzi e Olindo Romano. I reperti oggetti del ricorso, tra cui gli abiti dell'unico superstite Mario Frigerio e del piccolo Youssef Marzouk e alcune intercettazioni telefoniche e ambientali, non verranno analizzati. La richiesta per “accertamenti tecnici non ripetibili su reperti e tracce biologiche mai analizzate” è stata respinta oggi. Rosa e Olindo sono stati condannati all'ergastolo per l'omicidio di Raffaella Castagna, di suo figlio Youssef e della madre Paola Galli e della vicina Valeria Cherubini.

Da oltre due anni con Antonino Monteleone e Marco Occhipinti ci occupiamo della strage di Erba, il quadruplice efferato omicidio avvenuto a Erba l’11 dicembre 2006. Più andiamo avanti ad analizzare questa vicenda, più abbiamo la sensazione di trovarci di fronte a un gravissimo errore giudiziario che ha portsto in carcere all’ergastolo Rosa Bazzi e Olindo Romano, che con la morte di quelle 4 persone, tra cui un bimbo di appena 2 anni, potrebbero non c’entrare assolutamente nulla.

Oggi vi raccontiamo ancora un’altra clamorosa novità, che sembrerebbe aggiungere  ulteriori dubbi a tutti quelli di cui vi abbiamo puntualmente raccontato, a partire dal nostro Speciale “Rosa e Olindo: due innocenti all'ergastolo?”, che potete rivedere cliccando qui (gli altri servizi e aggiornamenti li trovate in fondo all'articolo). L’avvocato Schembri, legale dei coniugi Romano, racconta al nostro Antonino Monteleone: “È stato rinvenuto un ulteriore scatolone che risultava almeno da verbale essere andato distrutto. Sembrerebbero esserci degli indumenti di Frigerio, piuttosto che del piccolo Youssef”. Ecco la clamorosa novità: un anno fa nell’ufficio corpi di reato del tribunale di Como è stato ritrovato uno scatolone contenente alcuni reperti rinvenuti sulla scena del crimine, mai analizzati prima d’ora e che lo stesso ufficio sosteneva fossero stati distrutti due anni fa. Un ritrovamento davvero incredibile e importante, se fosse confermato che dentro la scatola riapparsa ci sarebbero, come ci ha detto l’avvocato Schembri, gli indumenti del piccolo Youssef, che fu massacrato insieme alla mamma Raffaella Castagna e alla nonna Paola Galli. Sempre nella stessa scatola, a quanto pare, sarebbero stati rinvenuti anche i vestiti di Mario Frigerio, il supertestimone, unico sopravvissuto al massacro, trovato ferito alla gola sul pianerottolo di casa Castagna, mentre al piano di sopra moriva sua moglie, Valeria Cherubini. 

Proprio per parlare di questo importante ritrovamento e di altre anomalie saltate fuori negli ultimi anni siamo stati dal ministro della Giustizia Alfonso Bonafede. Il ministro, da quando ci occupiamo di questa storia, ha dovuto mandare i suoi ispettori per tre volte a Como, per capire cosa stesse succedendo in quegli uffici. Un “caos” di cui ci parla anche il giornalista investigativo Edoardo Montolli: "Quegli indumenti risultavano già distrutti e questa è una cosa che veramente mi stupisce, e mi stupisce tutto quello che succede all’interno dell’ufficio corpi di reato del tribunale di Como”.

Ma facciamo un brevissimo passo indietro, per ricostruire i punti chiave di questa tragedia che presenta ancora tantissimi punti oscuri. Per quasi tutta Italia e per i 26 giudici che si sono pronunciati in tre gradi di giudizio i responsabili di quella carneficina sono i vicini di casa nella corte di via Diaz, Rosa Bazzi e Olindo Romano. Sono loro, la donna delle pulizie e il netturbino di Erba, a essere condannati all’ergastolo per quella strage. Ma Azouz Marzouk, il tunisino con precedenti penali padre e marito di due delle vittime, non è affatto convinto delle conclusioni a cui è giunta la giustizia italiana. E, tornato con la nostra Iena nella Corte di Via Diaz dopo tanti anni, ci aveva raccontato: "Qua ho perso mia moglie, ho perso mio figlio, ho perso mia suocera, ho perso una vicina, ho perso delle persone che sono state ammazzate”. Azouz è talmente convinto che  Olindo e Rosa si sarebbero auto accusati di delitti mai commessi, che l’ha messo nero su bianco in un esposto, ma questo suo esposto ha fatto sì che, nei suoi confronti, partisse un processo. “Tu adesso sarai processato per aver calunniato Rosa e Olindo”, gli aveva ricordato Antonino Monteleone. “Secondo me sarà un bene perché dovrò portare elementi che dimostrano che non ho detto una falsità, quindi io se sarò assolto per gli elementi che depositerò serviranno poi per riaprire il processo di Erba”, aveva risposto Azouz Marzouk. Azouz è così convinto dell’innocenza di Rosa Olindo da rischiare una condanna a 6 anni di reclusione, convinto anche per via di tutte le anomalie nelle indagini di cui ci siamo occupati negli ultimi due anni.

A partire dal testimone chiave Mario Frigerio che ha cambiato ricordo su chi fosse il proprio aggressore dopo un lungo colloquio con i carabinieri in ospedale. Ci sono poi le confessioni rilasciate dagli arrestati che fino a quel momento si proclamavano innocenti, confessioni rilasciate con davanti le foto delle strage e nonostante ciò piene zeppe di errori e imprecisioni. Olindo Romano, intervistato in esclusiva in carcere da Antonino Monteleone, ci aveva detto: "Praticamente ci hanno detto che eravamo messi male, che in poche parole ci hanno prospettato come una via d’uscita..”. “Confessare sarebbe stato il minore dei mali…”, interviene Monteleone. “Sì, una cosa così", continua Olindo Romano. "Come dire, ci aveva prospettato se io confesso 4-5 anni son fuori, tua moglie va a casa… quelli che ti dicono 'se non confessi non vedi più tua moglie'... anche quello ha influito sul su quel fatto lì eh... se volevo vedere mia moglie, in cambio dovevo dirgli qualche cosa... praticamente han fatto leva sui nostri sentimenti, han fatto leva. E lì come dire, è saltata fuori tutta la storia…””.

Ci sono poi anche le decine di giorni di intercettazioni ambientali sparite nel nulla e il Ris di Parma che non trova tracce di Rosa e Olindo sulla scena del delitto. E l’unica traccia di sangue che legherebbe Olindo alla scena del crimine, rinvenuta sul battitacco della sua auto, che non è visibile in foto, sarebbe potuta essere portata lì per contaminazione da chi ha perquisito l’auto dopo essere stato nella casa della strage, che era piena di sangue. Una contaminazione possibile anche per la stessa persona che quelle foto le ha scattate.

E infine, altro enorme mistero in tutta questa vicenda piena zeppa di misteri e di contraddizioni, le decine di reperti mai analizzati che vengono distrutti proprio la mattina in cui la Cassazione, dopo 5 anni di rimbalzi di competenze, aveva deciso che finalmente la difesa di Rosa e Olindo avrebbe potuto analizzarli a proprie spese. L’avvocato Schembri aggiunge: "Che un cancelliere si possa svegliare, io dico, senza altri alle spalle, una mattina prendere una macchina, andare all’inceneritore e distruggere tutti i reperti della strage di Erba guarda caso la stessa giornata nella quale la Corte di Cassazione si deve pronunciare ha veramente dell’incredibile, del bizzarro, ed è estremamente preoccupante”. Dopo la nostra visita proprio in quell’ufficio  e dopo quella degli ispettori del ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, a febbraio e a maggio del 2019, saltano fuori due scatole piene di reperti che si pensava fossero andati distrutti, con dentro, tra le altre cose, un mazzo di chiavi e un cellulare. Reperti che gli inquirenti, prima delle ripetute richieste di analisi della difesa di Rosa e Olindo negli ultimi sei anni, non avevano mai preso in considerazione. Edoardo Montolli racconta una circostanza che ha dell’incredibile: sulla scena del crimine è stato trovato un accendino che potrebbe essere l’accendino con cui è stato appiccato l’incendio. Un accendino che però, incredibilmente, “non è stato analizzato”.

Oggi, colpo di scena, scopriamo che un anno fa vi sarebbe stato un terzo inaspettato ritrovamento. “È riaffiorato", spiega l’avvocato Schembri, "un nuovo scatolone. Anche questo scatolone risultava distrutto dal verbale di distruzione, ritrovato sempre presso l’ufficio corpi di reato. Questo scatolone per esempio conteneva degli abiti del signor Frigerio e qualche indumento del piccolo Youssef”.  Parliamo di reperti, inaspettatamente ritrovati, che potrebbe essere fondamentale analizzare, perché sia il piccolo Youssef, che il testimone Frigerio, sono necessariamente entrati in contatto con gli aggressori,e quest’ultimo addirittura con un drammatico corpo a corpo da cui uscì in fin di vita. Indumenti sui quali, se i due fossero davvero colpevoli, potrebbero trovarsi i dna di  Rosa e Olindo, mai ritrovati  sulla scena del crimine. O magari quello di estranei, che potrebbe far pensare a dei killer sconosciuti, e in questa eventualità riaprire il caso. Ma resta comunque il mistero: già è strano che si brucino dei reperti nonostante un ordine chiaro di non farlo, ma è ancora più strano che per tre volte saltino fuori scatoloni con reperti che si credevano distrutti.

In questi anni, presso l’ufficio dei corpi di reato del tribunale di Como sarebbe successo anche altro e ad accorgersi che qualcosa non andava è stata la funzionaria Paola Valsecchi, la nuova responsabile dell’ufficio corpi di reato chiamata a sostituire il dottor Fusaro, il cancelliere responsabile della distruzione dei reperti della strage di Erba, che la difesa di Rosa e Olindo aveva chiesto di analizzare. Spiega ancora il giornalista Edoardo Montolli: "La dottoressa Paola Valsecchi fa una prima ricognizione all’interno dell’ufficio corpi di reato e fa presente che mancavano dei reperti inerenti droga. Addirittura dice che su una scrivania aveva trovato una Smith & Wesson che poi non troverà più e quando chiederà spiegazioni al dottor Fusaro, il dottor Fusaro dirà non lo so. La stessa cosa accade con tre orologi, che non saranno più ritrovati e in quel contempo trova i famosi scatoloni inerenti i reperti sulla strage di Erba con il plico in cui c’era un cellulare con i sigilli violati. Nel marzo successivo arrivano gli ispettori da Roma, questa volta per indagare sulla vicenda della distruzione dei reperti della strage di Erba e quest’ispezione trova una situazione devastante: ci sono involucri con reperti di valori aperti, reperti di valore mischiati ad altri, mancano droga, mancano 19 armi, centinaia di proiettili...” .

A quanto ci racconta Montolli dunque la nuova responsabile dell’ufficio corpi di reato e gli ispettori mandati dal ministro Bonafede scoprono la sparizione dentro al Tribunale di Como di armi, proiettili, droga e oggetti di valore. Rispetto al caso della distruzione dei reperti che la Cassazione ha  autorizzato ad analizzare, vengono fatte alcune analisi. Oltre al cancelliere Fusaro e alla dottoressa Valsecchi, viene preso in considerazione anche l’operato del dottor Tucci, il dirigente responsabile dell’ufficio, capo del cancelliere Fusaro, prima che arrivasse la dottoressa Valsecchi. L’avocato Schembri spiega: "Fusaro dice di non aver saputo del provvedimento che sospendeva la distruzione, mentre Tucci dice l’esatto contrario ossia di aver comunicato al Fusaro che esisteva un provvedimento di sospensione e quindi i reperti non dovevano essere distrutti”. Il responsabile dell’ufficio Tucci dichiara che aveva segnalato al cancelliere Fusaro che l'ordine di distruggere i reperti era stato sospeso. Spiega ancora Schembri: ”In realtà c’è di più perché dalle indagini emerge che dirà Fusaro che Tucci gli avrebbe indicato di non inserire queste circostanza, cioè che c’era un provvedimento di sospensione, nella relazione”.

E così con Antonino Monteleone andiamo da Tucci, responsabile dell’ufficio corpi di reato tribunale di Como. “Ha dichiarato Fusaro che lei avrebbe detto di non riportare l’ordine di sospendere la distruzione”, gli dice Antonino Monteleone. “No, lo sta dicendo lei”, ribatte l’uomo. “No, lo dice Fusaro in un verbale di sommarie informazioni”, spiega ancora la Iena. “No, ma ognuno può dire quello che gli pare”. L’avvocato Schembri aggiunge: "La Procura di Como ha chiesto l’archiviazione perché siccome ci sono delle contraddizioni tra le versioni fornite dall’uno e la versione fornita dall’altro, allora non si riuscirebbe a capire secondo la Procura chi ha ragione o chi ha torto insomma”. Insomma i due pubblici ufficiali indagati per la distruzione dei reperti raccontano due versioni che cozzano l’una con l’altra e i pm di Como non riescono a capire di chi sia la responsabilità per l’illecita distruzione di questi reperti. Per questi motivi per Tucci e Fusaro è stata chiesta l’archiviazione delle accuse. 

Raccontiamo ad Azouz Marzouk, durante una chiamata Skype, proprio delle novità relative al nuovo ritrovamento dello scatolone. “C’è qualcosa che non va…", dice. "Avevano detto che tutto è stato bruciato, che non ci sono più reperti né niente, prima che la Cassazione si pronunciava due anni fa e quindi c’è qualcuno che sta cercando di impedire a noi e alla giustizia di trovare i veri colpevoli e di fare chiarezza su questa strage… sono certo che c’è qualcosa che non va veramente, e che non sono andate le cose come è stato scritto nella sentenza”. La Iena gli chiede: "Tu però vuoi mettere le mani su questi vestiti di Youssef, li vuoi rivedere, ritoccare?”. “Sicuramente”. “Secondo te c’è qualcuno che sa come è andata veramente e che potrebbe parlare e che ancora non l’ha fatto?”. Azouz non ha alcun dubbio:”Secondo me , esiste qualcuno, e spero che in questi ultimi mesi la sua coscienza diciamo sia svegliata e prima o poi se verrà ammesso come teste dirà ciò di cui abbiamo bisogno”. Intanto, nonostante l’ottimismo di Azouz, al processo che lo vede imputato per calunnia nei confronti di Rosa e Olindo non è stato ammesso nessuno dei testimoni da lui indicati e sono state ammesse solo prove documentali, cioè le sentenze, le deposizioni e le testimonianze raccolte durante le indagini e i tre gradi di giudizio. La prossima udienza, intanto, è fissata per il 25 novembre. 

La detenuta Rosa Bazzi, un anno fa, dal carcere di Bollate, commentava così la vicenda dei reperti distrutti e mai analizzati: “Non hanno svolto bene il lavoro che hanno fatto… Se lo facevano bene, cioè come mai spariscono le cose adesso che potevano andare a controllarli allora… Perché devono sparire reperti che non hai niente da tenere nascosto, lasciali, così se c’è la mia impronta avete da dire bon, siete stati voi basta, chiudiamo il discorso, chiudiamo tutto, basta… Voglio che la verità viene fuori. però… ci mettono sempre i bastoni tra le ruote. Faccio un po’ fatica a credere nella giustizia. Cioè i reperti sono andati a bruciarli. Sono 12 anni che sto facendo questa condanna… Come mai sono venuti fuori dopo 12 anni gli scatoloni con dentro dei coltelli, con dentro dei telefoni, con dentro delle prove?”.

Oltre ai reperti ritrovati sulla scena del crimine e mai analizzati c’è ancora un’altra questione cruciale rimasta irrisolta: quella delle tante intercettazioni telefoniche ed ambientali che non si trovano più e che la difesa non ha mai potuto ascoltare. Parliamo di quelle fatte in casa di Olindo e Rosa i primi 4 giorni dopo la strage, di quelle in ospedale nella stanza del super testimone Mario Frigerio e intere giornate di registrazioni telefoniche nei confronti del fratello di Raffaella Pietro Castagna, che ha cambiato più volte versione su cosa facesse esattamente la sera della strage.

Che tutte queste intercettazioni siano sparite nel nulla è una cosa grave e a oggi né la Procura di Como né il Ministero hanno saputo dare una spiegazione credibile sul perché manchino tutte queste registrazioni. Ora il problema è che una delle società incaricate dalla Procura di Como di occuparsi delle intercettazioni apparteneva anche ad una società fiduciaria svizzera. Perché, ci chiediamo, la magistratura di Como ha conferito un incarico così delicato a una società che non puoi sapere fino in fondo a chi appartenga? Pensate per assurdo: e se dietro ci fosse stato qualcuno che ha degli interessi connessi alla strage di Erba? Sicuramente non è così, ma perché non si può sapere chi c’era dietro quella società fino in fondo? Chi si nasconde dietro la fiduciaria? Una persona che sa chi c’è dietro questa società è il suo fiduciario, il commercialista Renato Bullani, dal quale eravamo andati a chiedere spiegazioni, ma che si era rifiutato di dirci chi ci fosse dietro la società: “Questo è salvaguardato dal diritto svizzero, non le rispondo”.

Che non si sappia chi siano le persone dietro Bullani è cosa inopportuna e a quanto ci risulta anche vietata dalla legge, se a darle un incarico è una pubblica amministrazione come la Procura della Repubblica di Como. Noi de Le Iene lo abbiamo chiesto per iscritto  al Ministro della Giustizia Bonafede ormai 4 mesi fa e non avendo ricevuta risposta siamo andati a chiedergli spiegazioni di persona. “Ministro, le abbiamo scritto l’8 febbraio per sapere se la Procura di Como poteva affidare appalti a una società che ha una fiduciaria tra i suoi soci ancora non c’avete risposto...”. “Non mi ricordavo di questa richiesta però posso dire quando vado al ministero approfondisco...”, replica Bonafede. “Abbiamo letto la relazione dei suoi ispettori sull’ufficio corpi di reato di Como, un disastro totale c’è, in quel tribunale però nessuno colpevole...”. Bonafede risponde così: ”Guardi non è che mi metto a parlare di queste cose così al volo per strada eh, le dico, lei lo sa quando c’è da valutare e da verificare qualcosa lo facciamo sempre”. Il ministro ci dice di prendere accordi con il suo ufficio stampa ma ad oggi non abbiamo ricevuto ancora una risposta.

E visto che il ministro Bonafede ancora oggi non ci ha dato una risposta chiara, ci siamo rivolti all’Anac, l’Autorità nazionale anticorruzione, che il giorno dopo ci ha subito risposto confermando tutti i nostri dubbi. E ha scritto: “Una Procura non può dare alcun incarico a una società che si scherma dietro una fiduciaria a meno che Il Ministero competente non abbia appositamente autorizzato la società stessa che deve comunque, anche in quel caso, comunicare l’identità dei soci nascosti”. E allora non ci resta che ripetere la domanda già fatta 4 mesi fa: "Ministro della Giustizia Alfonso Bonafede, è possibile che la procura di Como durante le indagini sulla strage di Erba abbia dato un incarico così delicato violando la legge? Si può sapere chi ci stava dietro questa società che si è occupata delle intercettazioni, su cui tanti dubbi sono stati sollevati e che ancora non trovano risposta?”. Attendiamo la risposta del Ministro della Giustizia.

Ecco qui sotto gli ultimi servizi che abbiamo dedicato alla strafe di Erba.

Strage di Erba: i nuovi servizi de Le Iene

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