Daniele Nardi e la scalata al Mummery: “Ora è davvero pericoloso” | VIDEO
Si fa sempre più dura la spedizione di Daniele Nardi tra i ghiacci del Pakistan da cui finora nessuno è tornato vivo. Dal campo base sul Nanga Parbat ci manda il suo video per raccontarci come procede tra gelo e stanchezza
“Lo sperone non è come l’Everest dove ti attacchi alle corde fisse e sali”. Nuovo appuntamento questa volta in video con Daniele Nardi che ci racconta la sua sfida tra i ghiacci del Pakistan. L’alpinista sta tentando una scalata mai riuscita prima: arrivare in cima al Nanga Parbat (8.126 metri) passando dal Mummery, uno sperone di mille metri. Lo scalatore ci sta raccontando in esclusiva tutta la sua scalata: qui sotto potete trovare tutti gli articoli precedenti, compresa l’intervista prima di partire.
Nonostante il maltempo che si accanisce e l’abbandono di due membri importanti della spedizione, Daniele continua insieme a Tom Ballard a lavorare. Negli ultimi giorni sono saliti di nuovo ai campi alti per recuperarli, hanno dissotterrato le tende, le hanno smontate e riparate, come ci racconta Daniele nel video qui sopra.
Hanno lasciato campo 1 montato, mentre a campo 2 hanno stipato tutto il materiale – tenda compresa – in due sacchi, li hanno legati tra loro e assicurati in modo che il vento e la neve non possano portarseli via. Daniele ci conferma che lui e Tom sono in forma, però hanno spinto tanto in questi giorni e sono davvero provati dalla stanchezza. La perdita di campo 3 ha influito molto a livello psicologico. Facevano grande affidamento sul materiale che avevano depositato lì, materiale di vitale importanza per poter affrontare lo sperone, e il fatto che sia andato tutto perso significa tantissimo lavoro in più.
Guarda qui sotto le foto nella gallery dedicata alla spedizione di Daniele Nardi
“Lo sperone non è come l’Everest dove ti attacchi alle corde fisse e sali. Noi non fissiamo corde sulla montagna, nemmeno sulle parti più verticali, non era in programma prima e non lo è adesso. Saliamo e scendiamo in corda doppia, con quelle che ci portiamo dietro”, spiega Daniele.
Ora per i due alpinisti si aprono due possibilità, finire di salire lo sperone senza puntare alla vetta oppure salire campo per campo fino ad arrivare in cima al Nanga. Solo che per questa seconda opzione non sono abbastanza acclimatati, dovrebbero dormire una notte in parete, a 6.400 metri – per acclimatarsi a una data quota servono 24/48 ore - e poi da lì ripartire per la vetta.
“È pericoloso, dovremmo passare sulla montagna molto più tempo, rischiando congelamenti e portando il corpo a uno sfinimento estremo”, dice Daniele. “E comunque fare strategie in questo momento è controproducente perché siamo troppo stanchi, poco lucidi. Lasciamo passare un paio di giorni e poi, quando ci saremo ripresi, ripenseremo al da farsi”.