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News | di Alessandra Carati |

"Io e Tom rimasti soli con il Mummery, tra neve e valanghe"

Settimo appuntamento con Daniele Nardi e la sfida da cui finora nessuno è tornato vivo: la scalata al Nanga Parbat, 8.126 metri in Pakistan, passando dal Mummery, uno sperone di ghiaccio di mille metri. Con Daniele è rimasto solo Tom Ballard, perché i due compagni di scalata pakistani hanno appena rinunciato

“Ora lo posso dire con certezza, Karim Hayat e Rahmat Ullah Baig hanno deciso di ritirarsi dalla spedizione”.

La voce di Daniele Nardi è calma, chiama dal campo base dove è rientrato con Tom Ballard dopo quattro duri giorni sulla montagna a camminare, scavare e cercare le tende sommerse, tentando in ogni momento di combattere il congelamento.

Sono soli al campo base, se si escludono i poliziotti e il cuoco con il suo aiuto, dopo che i due compagni di scalata pakistani hanno rinunciato.

Verso la cima

 
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Eccoci al settimo appuntamento (in fondo all'articolo potete ripercorrerli tutti) con la sfida al Mummery, uno sperone di ghiaccio di mille metri attraverso cui Daniele ha deciso di raggiungere in Pakistan la cima del Nanga Parbat, a 8.126 metri. Una via da cui nessuno finora è tornato vivo e che oltre tutto lui vuole percorrere nelle condizioni più difficili, ovvero in inverno.

Rahmat è sceso a Gilgit, dove un medico gli ha prescritto una terapia di dieci giorni per l’infezione alla gola. Non salirà più in quota ed è già diretto verso casa.

Per Karim la faccenda è stata più delicata, il suo compagno è partito, la sua attrezzatura è andata completamente persa a campo uno e lui non si sente in una forma strepitosa.

“Quando io e Tom eravamo a campo due, Karim ci ha contattato dal campo base, era parecchio agitato. Aveva visto delle valanghe e ci ha pregato di scendere subito. Mi ha detto chiaramente che non sarebbe più salito sulla montagna”.

Daniele non è preoccupato per il rischio valanghe: “So che la situazione può essergli sembrata spaventosa, ma non sono un matto. La mia valutazione del rischio parte da una profonda conoscenza del Nanga, dall’osservazione precisa della neve sui pendii e quindi da una previsione di caduta delle valanghe”.

"Se conosci la montagna, usi tecniche per evitare il rischio", dice con convinzione.

“Arrivare a campo 1 è stato un disastro di fatica, perché è in piano e la neve si era accumulata, abbiamo dovuto ribattere la traccia lungo tutto il tragitto. Poi invece la salita a campo due e tre è andata molto più veloce. Ma non trovare campo 3 è stata una bella botta”.

Hanno perso circa 10mila euro di attrezzatura, due tende, due sacchi a pelo, decine di moschettoni, decine di viti da ghiaccio, friend, le corde, una tuta in piuma, due paia di guanti, una luce frontale, due materassini. Eppure il problema più grosso è il fatto che tutta l’attrezzatura, circa 50 chili, di vitale importanza per scalare lo sperone, era stata portata lassù da quattro persone. E loro ora sono solo in due.

“Anche quando ci siamo accorti che le tende erano andate, non ci siamo abbandonati al nervosismo, al disorientamento che ti possono prendere in situazioni del genere. Sapevamo che campo 3 era rischioso e abbiamo accettato la cosa. Ci siamo dati subito da fare. Ci siamo sostenuti a vicenda”.

Nonostante la partenza di Karim non sia stata facile per nessuno – si sono abbracciati più volte nel momento dei saluti, quando ha imboccato il sentiero Karim continuava a voltarsi per guardare la montagna – Daniele e Tom non hanno perso la carica.

Non hanno intenzione di scendere, anzi hanno una gran voglia di salire di nuovo.

Solo che, per come si sono messe le cose, la spedizione si allungherà di sicuro fino a fine febbraio e c’è bisogno che gli sponsor continuino a sostenerli, anche in questa fase.

In più sono a corto di provviste, da dieci giorni non salgono portatori con i rifornimenti.

Daniele ha già chiesto a sua moglie di preparare un altro cargo dall’Italia con tende, cibo, liofilizzati, gas, fornelletti. Anche Karim si è detto disponibile ad aiutarli in ogni modo, a Gilgit si occuperà di recuperare quello che manca e di coordinare i portatori.

“In questo momento la cosa più delicata è trovare il giusto bilanciamento tra la voglia di correre e l’ascolto della montagna, che ti dice di aspettare. Tra la troppa energia e un’attesa troppo prolungata”.

Stare al campo base significa perdere le forze, perdere tono e massa muscolare, perché c’è un limite di tempo in cui il corpo può resistere in alta quota senza indebolirsi. D’altra parte correre significa forzare i tempi, con l’inevitabile conseguenza di alzare il livello di rischio.

Ecco qui sotto i precedenti articoli e servizi che abbiamo dedicato alla sfida di Daniele Nardi.

Daniele Nardi: la sfida al Nanga Parbat e le tragica scomparsa

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