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Coronavirus, la terapia intensiva e le difficoltà della sanità: “Soldi gestiti male”

L’emergenza provocata dall’epidemia di coronavirus ha messo in luce le difficoltà del sistema sanitario: “I finanziamenti non mancano, e nemmeno le tecnologie. Servono però più infermieri e più programmazione: non serve buttare più miliardi nella sanità se non cambiano le regole”, dice Marco Cappato a Iene.it

Non serve buttare nel sistema sanitario più soldi se non cambiano le regole”. L’emergenza per il coronavirus, che ha messo sotto fortissimo stress i nostri ospedali, accende la luce su quello che non funziona nel nostro sistema pubblico di sanità e nel suo finanziamento. Noi di Iene.it abbiamo parlato con Marco Cappato dell'Associazione Luca Coscioni per capire da dove derivino le difficoltà che stanno rendendo così difficile reggere all’epidemia. La Lombardia ha infatti lanciato oggi l’ennesimo allarme sulla tenuta del sistema sotto pressione per il coronavirus: “Siamo vicini all’esaurimento delle risorse, così non possiamo andare avanti”, ha detto il governatore Fontana. I posti in terapia intensiva sono quasi finiti e si stanno studiando soluzioni d’emergenza. Ma come siamo arrivati a questo punto?

Per capirlo serve partire da alcuni dati che sicuramente non sono rincuoranti. Dal 2000 al 2017 sono andati persi il 30% dei posti letti dei nostri ospedali: l’Italia è sest’ultima in Europa, e ne ha meno della metà della Germania in rapporto alla popolazione. Eppure i finanziamenti pubblici al sistema sanitario non sono diminuiti, anzi: nel 2000 spendevamo 71 miliardi di euro, oggi ne spendiamo 114,5. “Per quanto riguarda i fondi alla sanità, i finanziamenti sono sempre aumentati (magari di poco) o rimasti stabili”, ci dice Marco Cappato. Il problema quindi non riguarda i fondi a disposizione, ma il modo in cui questi sono gestiti: “Le carenze del sistema derivano dalla gestione delle risorse”, ci spiega. Anche se purtroppo siamo indietro rispetto ad altri Paesi a noi vicini: l’Italia destina infatti il 6,5% del Pil alla spesa sanitaria. In Germania è il 9,5%, in Francia il 9,3, nel Regno Unito il 7,5%. 

E per quanto riguarda i posti letto? “I posti letto complessivi sono da tempo poco più di 3 per mille abitanti, come da indicazione del ministero”, continua Cappato. Secondi i dati del ministero della Salute, infatti, i posti letto disponibili in Italia sono 192mila, cioè 3,2 ogni mille abitanti. Questo però è il sesto dato più basso nell’Unione europea: la Germania, per intenderci, ne ha più del doppio. Non è però solo il numero totale che conta, ma anche (e soprattutto) come quei posti vengono distribuiti: “La suddivisione dei letti per reparti e tipologia è di competenza regionale. È probabile che ci sia qualche disomogeneità, con alcune specialità che ne hanno troppe poche e altre invece che ne hanno più del necessario”, ci spiega Cappato. E, vedendo quanto sta accadendo in questi giorni, sembra proprio che le terapie intensive non siano certo tra i reparti che ricevono troppo risorse…

Sono proprio le terapie intensive infatti a essere sotto i riflettori in questi giorni, anche perché degli oltre 10mila malati di coronavirus in Italia circa il 10% ha avuto o ha ancora bisogno di quel tipo di assistenza. In Italia i posti disponibili sono complessivamente 5090, e solo in Lombardia sono attualmente 466 i ricoverati in terapia intensiva per il Covid-19 a fronte di una capacità normale di 900 posti. Attenzione però: non è solo il coronavirus a portare le persone in quei reparti, e il rischio concreto è che a un certo punto finiscano i posti disponibili e si debba scegliere chi ricoverare in base alle probabilità di sopravvivenza.

Lo ha spiegato in modo crudo e diretto Christian Salaroli, anestesista rianimatore dell’ospedale di Bergamo: “Dobbiamo scegliere chi curare e chi no, come in guerra”. Una situazione disperata, a fronte della quale la regione ha annunciato di aver creato 223 nuovi posti di terapia intensiva d’emergenza e altri 150 verranno ricavati nei prossimi giorni. Addirittura si sta studiando la possibilità di trasformare alcuni padiglioni della Fiera di Milano in un ospedale ‘improvvisato’, un po’ come è accaduto a Wuhan nei giorni più difficili dell’epidemia.

Per far fronte alle nuove necessità, la centrale unica degli acquisti della pubblica amministrazione ha indetto dei bandi d’urgenza per avere nuovo materiale da dedicare alla terapia intensiva: “Anche sulle tecnologie e strumentazioni, che dipendono dalle regioni e dalle aziende, complessivamente non siamo carenti in un contesto normale”, ci spiega ancora Cappato. “Altra cosa però è la loro distribuzione: c’è una assurda concentrazione di alcune costose strumentazioni e invece possibili carenze in settori specifici”. Insomma anche qui sembra esserci una mancanza di coordinamento dietro alle difficoltà del nostro sistema sanitario.

Come a personale medico, invece, come siamo messi? Perché abbiamo visto tutti le immagini simbolo di medici e infermieri stremati dopo estenuanti turni di lavoro: “Il numero complessivo di medici in Italia, che è di circa 4 per mille abitanti, è ancora superiore a quello di moltissimi altri Paesi comparabili”, spiega Cappato. “Nel settore ospedaliero però sono mal distribuiti e non sono stati governati. Il loro dimensionamento è stato deciso più dall'Inps che dalle Regioni, tramite le regole di pensionamento come quota 100 e simili. Una carenza vera è da decenni il numero degli infermieri, che sono la metà o un terzo di altri paesi comparabili”. Insomma quegli eroi che lottano tutti i giorni per salvare quante più persone possibili sono troppo pochi anche in una situazione normale, figurarsi adesso in piena emergenza coronavirus.

Come si può quindi risolvere queste mancanze e garantire ai cittadini un sistema sanitario più efficiente? “Complessivamente si può dire che le carenze in alcuni settori dipendono da scarsa programmazione, soprattutto regionale, e non dalla scarsità di finanziamento”, conclude Cappato. “Buttare nel sistema qualche miliardo in più non cambierà molto se non cambiano alcune regole o se i finanziamenti non sono utilizzati con efficacia”. Speriamo che, quando l’emergenza coronavirus sarà risolta, si possa davvero lavorare per rendere migliore quel sistema sanitario che è garantito a tutti dalla nostra Costituzione.

Intanto quello che tutti noi possiamo fare è sostenere chi si trova in prima linea nella gestione dell’emergenza: noi de Le Iene ci uniamo alla raccolta fondi per sostenere l’ospedale Papa Giovanni XXIII di Bergamo che in questi giorni è tra i più colpiti dal coronavirus.

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